
10
FebSettimana di Preghiera
Pubblicato il: lunedì 10 Febbraio 2025
Pubblicato il: lunedì 10 Febbraio 2025
Pubblicato il: lunedì 10 Febbraio 2025
Nella parrocchia dello Spirito Santo una serata di musica e solidarietà
Sabato 8 febbraio la parrocchia Spirito Santo di Su Planu, ha ospitato il concerto di beneficenza dell’Ensemble Chorus Project Luigi Rachel di Quartu Sant’Elena, diretto dal maestro Giacomo Medas e del coro del gruppo folk «Città di Dolianova», diretto dalla maestra Maria Elisabetta Agus.
Le due corali si sono esibite per sostenere la costruzione di una scuola materna nella missione di Boassa, in Burkina Faso, dove operano le Suore Missionarie dell’Incarnazione, accogliendo l’invito di suor Lovely che opera nella comunità parrocchiale selargina.
È stata lei ad introdurre la serata, portando i saluti della Madre generale, suor Carmela Cataldo, che non ha potuto presenziare per motivi di salute.
La voce delle suore
«Boassa – ha detto suor Lovely – è un villaggio povero, dove manca del tutto l’acqua, il cibo e la corrente elettrica. Solo durante il tempo delle piogge è possibile coltivare la terra e il poco raccolto viene conservato anche per il lungo tempo della siccità».
Il progetto
Lo scopo della raccolta delle offerte è la costruzione di una scuola materna, che possa permettere la scolarizzazione a partire dai bambini più piccoli, ma anche aiutare tutte le donne del villaggio nella loro formazione.
La maggior parte dei piccoli non va a scuola perché costretta a cercare l’acqua e il cibo lontano dal proprio villaggio.
Nel terreno acquistato 10 anni fa è stata costruita una casetta, che accoglie quattro consorelle missionarie, dove si svolge il catechismo, le attività del coro, l’animazione dei bambini e dei giovani ed è presente un gruppo vocazionale.
Il programma
I due cori intervenuti hanno proposto alcuni brani del loro repertorio, tra cui l’Adieumus di Karl Jenkins per l’Ensemble Chorus Project e S’aneddu di Bobore Nuvoli per il coro «Città di Dolianova».
In formazioni riunite è stato invece proposta la Ninna nanna de Anton’Istene di don Pietro Allori, composta nel 1969 su testo poetico di Antioco Casula, noto Montanaru.
Dopo i ringraziamenti e saluti finali del parroco don Giuseppe Camboni, la serata si è conclusa con un invito conviviale nell’oratorio di Su Planu, dove i due cori hanno regalato ulteriori esibizioni in amicizia e condivisione.
Susanna Musanti
Pubblicato il: venerdì 14 Febbraio 2025
Dalle parole del Santo Padre, Papa Francesco, di qualche giorno fa: “Celebriamo la XXXIII Giornata Mondiale del Malato nell’Anno Giubilare 2025, in cui la Chiesa ci invita a farci pellegrini di speranza”.
Perché mai il Santo Padre definisce questa una giornata di speranza? Perché chi opera con i malati, con gli anziani e con le loro malattie degenerative, dona speranza ogni giorno a vite spesso segnate dalla sofferenza e dalla solitudine. Spesso non sono solo le cure mediche a dare sollievo al dolore: occorrono una carezza, un sorriso, una parola di conforto che infondano fiducia e calore umano.
L’11 febbraio 2025, presso le Suore Missionarie dell’Incarnazione di Vermicino, dove sono ospitate le nostre mamme, abbiamo celebrato questa speciale Festa della Speranza. Un pomeriggio iniziato con la Santa Messa, celebrata tra canti e preghiere in un’atmosfera familiare e raccolta. Poi, la condivisione di un momento conviviale, fatto di dolci e pietanze preparate con amore.
Le nostre mamme? Tutte gioiose e serene
Pubblicato il: martedì 11 Marzo 2025
Cos’è la Quaresima per un cristiano? È un cammino condiviso verso la Pasqua. E proprio nel camminare insieme si racchiude tutta la vita terrena di Gesù.
Lui si è fatto uomo, ha toccato con mano le nostre miserie, ha percorso le strade del mondo annunciando l’amore e la misericordia. Ha perdonato, ha guarito le ferite dell’anima e del corpo, ha risuscitato i morti. E alla fine, non è salito su un trono, ma su una Croce.
La Croce, simbolo di condanna e di vergogna per il popolo ebraico, è diventata invece il segno della nostra Identità. Perché proprio dalla Croce è scaturita la Vita Nuova. E Gesù ce lo ha detto chiaramente: “Io sono la Via, la Verità e la Vita”.
La Quaresima è un percorso verso una Nuova Vita.
Spesso pensiamo che digiunare o mortificarci siano i modi migliori per prepararci alla Pasqua. Ma Dio non cerca la nostra sofferenza: Lui vuole che ci liberiamo dalla frenesia, del mondo, che ci fermiamo, preghiamo. Saltare un pasto? Perché no! Ma non come un peso, bensì con la gioia nel cuore, perché la vera Quaresima è la gioia del donarsi.
La parabola del Buon Samaritano ci aiuta a comprendere questo:
“Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico, e s’imbatté nei briganti che lo spogliarono, lo ferirono e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso un sacerdote scendeva per quella stessa strada, ma quando lo vide, passò oltre dal lato opposto. Così pure un Levita, giunto in quel luogo, lo vide, ma passò oltre dal lato opposto. Ma un Samaritano, che era in viaggio, giunse presso di lui e, vedendolo, ne ebbe pietà; avvicinatosi, fasciò le sue piaghe versandovi sopra olio e vino, poi lo mise sulla propria cavalcatura, lo condusse a una locanda e si prese cura di lui. Il giorno dopo, presi due denari, li diede all’oste e gli disse: “Prenditi cura di lui; e tutto ciò che spenderai di più, te lo rimborserò al mio ritorno”
Il Samaritano non si è limitato ad aiutare sul momento, ha pensato anche al futuro di quell’uomo. E così anche la nostra Quaresima non deve fermarsi al digiuno o preghiera, o accenni di carità, deve trasformarsi in un impegno concreto e costante, per una vita, vissuta nel servizio agli altri.
Madre Carla è stata proprio questo un esempio di vita donata, ha saputo incarnare questo spirito. Lei non si è limitata alla carità dell’istante, ma ha costruito un futuro per chi non ne aveva uno. Con il suo impegno instancabile, ha lasciato una testimonianza vivente alle sue e nostre suore, che continuano la sua straordinaria e pulsante opera di donarsi agli altri, con la Gioia del Risorto.
Buona e Santa Quaresima
Pubblicato il: mercoledì 19 Marzo 2025
Maria e Giuseppe rappresentano il passaggio dalla promessa e dall’attesa all’attuazione del progetto divino. Sebbene Gesù sia stato generato per opera dello Spirito Santo, Giuseppe è stato il padre putativo a cui Dio ha affidato il compito di accogliere e crescere il Salvatore; la sua stirpe era stata prescelta proprio per questo.
Il profeta Isaia disse:
«Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse (Davide), un virgulto germoglierà dalle sue radici; su di lui si poserà lo spirito del Signore, spirito di sapienza e d’intelligenza, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di conoscenza e di timore del Signore»
Ma chi è stato veramente il mite e umile Giuseppe? Spesso il concetto di semplicità e mitezza di cuore viene erroneamente associato alla debolezza, quasi a una sorta di paura! Al contrario, Giuseppe è stato l’esatto opposto di tutto questo.
Per noi cristiani, specialmente in questo drammatico momento storico segnato da violenze, guerre, vendette sanguinose, sete di dominio e potere, Giuseppe rappresenta la forza, il coraggio, la speranza e la fede di un uomo giusto e saggio. Non si lasciò accecare dalla rabbia o dalla vendetta, nemmeno di fronte alla possibilità che la sua promessa sposa fosse incinta di un altro. Spesso la gelosia degli uomini, ieri come oggi, offusca la ragione e il rispetto per la propria compagna di vita.
Giuseppe non solo amava Maria nel profondo del suo cuore, ma la rispettava profondamente. Quando rifletteva se ripudiarla in silenzio, in lui non vi era né giudizio né condanna.
L’annuncio dell’angelo:
«Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché ciò che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Ella partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù, poiché egli salverà il suo popolo dai suoi peccati» (Mt 1,20-21).
Di fronte a tale rivelazione, che per qualcuno sarebbe potuta sembrare solo un sogno, Giuseppe non ebbe dubbi né esitazioni: accettò il progetto di Dio con la consapevolezza che la sua vita sarebbe cambiata per sempre. Avrebbe dovuto crescere il Figlio di Dio! È difficile immaginare cosa sia passato nella mente di un uomo di fronte a un annuncio del genere. Qualcuno, forse, si sarebbe sentito non solo impaurito, ma anche incapace di sostenere una missione così grande.
Ma la grande forza di Giuseppe, un carpentiere e non semplicemente un povero falegname, è stata quella di saper superare paure, timori e pregiudizi, accettando con speranza e fede ciò che Dio gli aveva riservato. Sono pochi i passaggi del Vangelo in cui si fa riferimento a Giuseppe e non conosciamo con certezza il suo destino, ma resta il fatto che questa figura è spesso dimenticata o considerata secondaria nell’attuazione del progetto divino. Perfino in molti affreschi di artisti e pittori che ritraggono Gesù e Maria, Giuseppe è assente. Eppure, egli deve essere per noi un grande testimone di fede!
Impariamo a ricordare San Giuseppe non solo il 19 marzo, ma in tutti quei momenti della nostra vita in cui siamo chiamati a prendere decisioni importanti o ad affrontare periodi difficili in famiglia. Egli non è stato solo un esempio di paternità, di sposo rispettoso e dedito alla famiglia, ma un modello per ogni vocazione, inclusa quella religiosa.
Un augurio a tutti i papà, affinché, guardando a San Giuseppe, possano essere strumenti di speranza e fede per le proprie famiglie.
In questa giornata speciale, un augurio sincero e speciale va al nostro Santo Padre Francesco. Come San Giuseppe, possa essere sempre guidato dallo Spirito di Dio e continuare a essere un faro per noi tutti.
Guarisci presto, Papa Francesco, e torna in mezzo a noi!
Pubblicato il: lunedì 24 Marzo 2025
La Diocesi di Frascati insieme alla Diocesi di Velletri-Segni, unite in persona episcopi S.E. Mons. Stefano Russo, ha attraversato sabato mattina la Porta Santa della Basilica Papale di San Paolo Fuori le Mura partecipando, così, al giubilo di tutta la Chiesa universale in questo Anno Santo della Speranza.
Durante la celebrazione eucaristica, Mons. Russo ha svelato ai fedeli un’icona iscritta con Gesù Salvatore circondato dai Santi Filippo e Giacomo, patroni della Diocesi tuscolana, e dai Santi Clemente e Bruno, patroni della Diocesi di Velletri-Segni, e il versetto del Vangelo di Giovanni (15, 9) “Rimanete nel mio amore” e, come ha detto il Vescovo, è quello che le due Diocesi vogliono fare.
Amore e giubilo. Due termini difficili da separare perché chi ama è felice di donare il proprio amore e chi è amato è felice di sentirsi beneficiario di tale dono. E come si declina, allora, questo dittico con il passaggio della Porta Santa, con un cammino che può essere aspro, difficile e che a volte viene oscurato dallo sconforto? C’è un impostazione importante che non dobbiamo dimenticare: per entrare in Basilica, dal greco “casa del Re”, non serve bussare; la porta è spalancata.
Il dettaglio sembrerebbe ovvio, ma non lo è perché testimonia come il Signore ci aiuti a rimanere nel suo Amore, a rimanere con Lui, anche quando usciamo dalla Sua casa: sappiamo che quella porta rimane spalancata, pronta a farci rientrare alla presenza del Re con la grazia della Sua misericordia e della Sua accoglienza.
E vi è di più. Perché non mettere un portiere o un pulsante per l’apertura automatica? Sarebbe più pratico, no? Perché, invece, la porta rimane spalancata, anche con la pioggia, come quella che ieri mattina ha accolto i fedeli? Nel Vangelo di Luca (15, 11-32), che ieri è stato letto durante la Santa Messa, c’è un’espressione che può aiutarci a capire il motivo di un’apertura tanto serrata: “Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro”. Il Re, dalla propria casa, scruta, da quella porta spalancata, lontano verso tutti quei figli di cui attende la visita, il ritorno o la conoscenza. E quando li scruta in lontananza commosso corre incontro loro verso quella porta spalancata.
“Rimanete nel mio Amore. […] Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena” (Gv 15, 9 e 11).
Matteo Verzaro
Pubblicato il: venerdì 28 Marzo 2025
Questa Parola risuona con forza nei nostri cuori e ci ricorda che Dio ci ama di un amore personale, unico, irripetibile. È Lui che ha guidato ogni nostro passo con la Sua grazia, conducendoci fino a questo giorno benedetto. Davanti a un dono così grande, sentiamo che non possiamo custodirlo solo per noi: siamo chiamate a essere strumenti vivi e trasparenti del Suo amore, ponti che avvicinano i cuori a Dio, testimoni credibili della Sua misericordia.
«L’anima mia magnifica il Signore
e il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore» (Lc 1,46-47).
In questo giorno speciale, 25 marzo 2025, uniamo la nostra gioia a quella della Chiesa intera nella celebrazione della Solennità dell’Annunciazione del Signore. Come Maria, che con il suo “Sì” ha accolto il progetto di Dio per la salvezza del mondo, anche noi, con cuore colmo di gratitudine, rinnoviamo il nostro “Sì” al Signore, per tutta la vita.
Questa giornata ha per noi un significato ancora più profondo: celebriamo anche la festa della nostra Congregazione, “Il Verbo si fece carne”, in quest’anno giubilare in cui camminiamo come Pellegrini della Speranza.
La celebrazione è stata presieduta con gioia da Padre Mario Carlo Zanotti e concelebrata da numerosi sacerdoti, alla presenza del popolo di Dio e delle nostre sorelle, nella cappella della Casa Madre, dove riposa il corpo dell’umile Serva di Dio, Madre Carla Borgheri. La sua intercessione ci accompagna ogni giorno, la sua testimonianza ci sostiene e ci ispira.
Abbiamo ascoltato con fede e commozione l’omelia, che ci ha ricordato:
«La Divina Eucaristia è il prolungamento dell’Incarnazione: lì dobbiamo raccogliere tutta la nostra vita, la nostra giornata – amore, adorazione, ringraziamento – custodirla per essere custoditi dal Signore».
Un momento particolarmente toccante è stato quello in cui, indossando l’abito religioso, le campane hanno suonato a festa, ricordandoci che «Il Verbo si è fatto carne». È stato un richiamo potente alla nostra consacrazione: Dio ci ha scelte e consacrate per essere portatrici del Suo amore, segno visibile della Sua presenza nel mondo.
Pur non avendo accanto le nostre famiglie d’origine, abbiamo sentito forte la consolazione della Parola di Dio:
«Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna» (Mt 19,29).
In questa promessa abbiamo trovato conforto, e nella grande famiglia delle SMI abbiamo sperimentato un amore che accoglie, sostiene e custodisce.
Signore Gesù, Tu ci hai chiamate per nome.
La Tua tenerezza, la Tua vicinanza e il Tuo amore ci sostengono in ogni momento.
Con cuore fiducioso, Ti affidiamo tutta la nostra vita:
la Tua grazia e il Tuo amore ci bastano.
TI AMO, O MIO GESÙ.
Le neo professe
Pubblicato il: domenica 13 Aprile 2025
«La folla numerosissima stese i suoi mantelli sulla strada, mentre altri tagliavano rami dagli alberi e li stendevano sulla via. La folla che andava innanzi e quella che veniva dietro gridava: “Osanna al figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nel più alto dei cieli!” Entrato Gesù in Gerusalemme, tutta la città fu in agitazione e la gente si chiedeva: “Chi è costui?” E la folla rispondeva: “Questi è il profeta Gesù, da Nazaret di Galilea». Matteo 21:8-11
Gesù, che fino a quel momento aveva sempre camminato a piedi per le strade della Galilea, della Samaria e della Giudea, questa volta per entrare a Gerusalemme, predilige un umile asinello. Un animale presente nella Bibbia, che evidenzia la libertà e umiltà. L’umiltà, quella virtù che apre alla verità.
In quel luogo Santo, dove la gente lo osannava, non sarebbe stato impossibile per Gesù fomentare il popolo alla rivolta o all’insurrezione, in vista anche di quello che lo aspettava. Al contrario, Lui scelse di annunciare al mondo la “rivoluzione della pace e dell’amore”.
Con la Domenica delle Palme ha inizio la Settimana Santa, la settimana in cui Gesù tocca il picco di umanità, caricandosi sopra di sé i peccati, le miserie, le piaghe dell’uomo, fino alla Croce, quella che gli ebrei consideravano la morte per i peggiori criminali.
Ed è proprio per questo che la Settimana Santa deve invitarci ad una profonda riflessione. È il tempo in cui non dobbiamo solo ricordare la passione, la morte e la Resurrezione, ma dobbiamo viverla nei tanti gesti del quotidiano, con la preghiera, nel perdonare, nella carità verso gli altri. Ogni momento, ogni rito di questa settimana, ci testimoniano che Lui è il Figlio di Dio, dalla lavanda dei piedi che testimoniano l’umiltà, all’Ultima Cena, un invito a fare dono di sé agli altri, come ha fatto Lui: “Fate questo in memoria di me”, alla passione, tra le debolezze, le incomprensioni, i tradimenti dei discepoli, fino alla Croce. Poi come accade agli uomini, la morte del corpo. Ma non finisce qui, la sua discesa agli inferi, al regno della morte, per liberare dalla prigionia del peccato e delle nefandezze l’uomo. Per poi, nel giorno di Pasqua, tornare vittorioso tra gli uomini, una vittoria conseguita non con le armi, ma con il sacrificio della propria vita.
Andiamo verso la Pasqua con il cuore aperto e disponibile a vivere questo grande mistero di salvezza.
Pubblicato il: domenica 20 Aprile 2025
Mentre camminavo per andare a fare delle commissioni riflettevo, essendo entrati nel Triduo Pasquale, a quanto deve essere stata dura per Gesù affrontare tutto quello che ha affrontato. Se per molti la Pasqua diventa occasione consumistica, tra uova e colombe, dall’altra siamo chiamati ad entrare in un ottica diversa.
Non mi riferisco solo alla morte in Croce dove Cristo ci ha riscattati, per amore, ma anche a tutte le offese, le menzogne, gli abbandoni che ha patito durante la Passione.
Vedere gli amici con i quali hai condiviso tanto (banchetti, feste, scarpinate tra un posto e l’altro, condivisioni) voltarti la faccia, non essere presenti lì, sotto la Croce, nel momento più difficile avrebbe destabilizzato chiunque.
Saremmo rimasti tutti delusi, amareggiati, notevolmente arrabbiati, poiché che amicizia è se nel momento del bisogno fuggi? Che legame fraterno è se scappi quando le cose precipitano e non è più così conveniente starti accanto?
Fortunatamente per noi, Cristo ragiona secondo Dio Padre e non secondo la logica di noi uomini fragili!
Però il punto su cui voglio soffermarmi è proprio il comportamento degli amici, degli apostoli e di tutti quelli che nel momento del bisogno sono fuggiti o per paura o perché non era più conveniente stare accanto a un ricercato, a un futuro condannato.
Diciamo che i nostri cari Apostoli non hanno brillato di Empatia.
Ma cos’è l’Empatia?
DEFINIZIONE: “Capacità di porsi nella situazione di un’altra persona o, più esattamente, di comprendere immediatamente i processi psichici dell’altro”.
Nel libro “Intelligenza Emotiva” di Daniel Goleman, noto psicologo e scrittore, il terapeuta evidenzia quanto avere una buona intelligenza emotiva, sviluppare quell’attenzione verso i sentimenti e le emozioni del prossimo, quindi coltivare l’empatia sia la chiave del successo per le relazioni umane e non.
Di conseguenza riallacciandoci al momento della Passione, quanto in quei momenti Cristo, nonostante era intenzionato fino alla fine a compiere la missione per la nostra salvezza, avrebbe voluto accanto delle persone che potessero anche solo stargli accanto, consolarlo, comprendere i suoi sentimenti?
Lo dimostra nell’orto del Getsemani quando chiede a Pietro, Giacomo e Giovanni di pregare con Lui e li ritrova addormentati, segno inevitabile della fragilità umana.
Proprio perché Cristo è sia vero Dio ma anche vero Uomo, doveva vivere tutte le sensazioni più agghiaccianti dell’umanità, quindi anche il bisogno, la voglia di conforto rientrano tra queste.
Cosa possiamo fare, dunque, per prendere spunto da questa vicenda che ha segnato la storia di Salvezza dell’uomo, oltre il significato salvifico-teologico?
Progredire, coltivare la nostra intelligenza emotiva, costruire, anzi meglio, sviluppare la nostra empatia.
Ci troviamo in un periodo storico segnato dallo sviluppo della tecnologia, in cui i social hanno il predominio sulle nostre vite quotidiane, con alcune conseguenze assai devastanti, basti pensare ai vari atti di cyber-bullismo o il semplice atteggiamento che gli Hater hanno contro le persone che si espongono sui social, tanto per fare un esempio, anche nella vita reale la situazione non cambia e i “Getsemani” quotidiani, quei luoghi di lotta, di contraddizione, di sudorazione sanguigna, di estrema sofferenza sono presenti in pianta stabile nella vita di ognuno.
Ognuno vive un suo orto degli ulivi, ognuno porta avanti una battaglia silenziosa di cui non si è a conoscenza, allora proprio per questo siamo chiamati alla conversione, ad alzare il baricentro e guardare l’altro in chiave diversa.
Dove quando davanti ad uno che ci dice “…La mia anima è triste fino alla morte…” noi possiamo accoglierlo con un abbraccio e non con la solita frase fatta che troviamo nei baci perugina.
Che questa sia una Pasqua di risveglio, che questa sia per noi una Pasqua nella quale la nostra Empatia, l’amore e la benevolenza possano uscire dai nostri sepolcri.
Quindi buon lavoro, sapendo che siamo amati fino alla fine anche qualora non riusciamo a dimostrare nulla.
Buona Pasqua!
Alessio
Pubblicato il: lunedì 21 Aprile 2025
La sera del 13 marzo 2013. In una serata in cui il cielo non era del colore dei tramonti romani, dove nell’aria non si percepiva ancora il profumo della primavera, in una Roma quasi triste e buia, un arcobaleno di speranza e amore invadeva all’improvviso il cuore dei Romani e di quelli che per un giorno erano riuniti sulla piazza più bella del mondo, esultanti di gioia. Che ringraziavano e lodavano Dio per il dono di Papa Francesco, un uomo puro venuto dalla fine del mondo, il parroco delle favelas, che con la sua veste bianca essenziale e con la sua croce di semplice sacerdote del mondo, da quel balcone della Basilica di San Pietro, stringeva in un abbraccio di tenerezza e amore tutta l’umanità.
Sembrava quasi timido, fuori luogo, in quella casa tanto diversa dal suo ambiente, dalla sua quotidianità, ma quando diceva: “Buona sera, fratelli e sorelle”, diventava all’improvviso San Francesco, il frate scalzo, che ha travolto il mondo di pace e misericordia. E in quella serata buia e triste, il calore di quell’abbraccio riscaldava tutti i nostri cuori. Sembrava quasi che lo Spirito di Dio, lasciata la Cappella Sistina, aleggiasse ancora su Piazza San Pietro, infuocando di sentimenti puri tutti coloro che erano sulla piazza. Gli stessi sentimenti che poi arrivavano in ogni angolo del mondo, attraverso i mezzi di comunicazione. Il contagio era avvenuto, lo stesso contagio di pace e lode a Dio che il poverello d’Assisi aveva causato quasi mille anni fa, nei cuori degli uomini di ieri e di oggi, facendosi difensore dei poveri, degli ultimi, diventando ambasciatore di pace in Oriente, un rivoluzionario, un anticonformista San Francesco, ma sempre difensore estremo della Croce, della Croce Santa.